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MANNEQUINS - SECOND STUDY ABOUT FEARS

of CHIARA BRUNI

Mio nonno raccontava di averli portati lì dopo l’alluvione che nel 1979 sconvolse Isola Liri (FR). Salvare dei manichini da un nubifragio, ancora oggi mi chiedo perché (troppo tardi, le domande non fatte non hanno risposte).

Arrivarono insieme alla pioggia. Mutilati, sporchi, inutili.

Tra giornaletti porno anni settanta, un ingranditore Durst 609, cataste di quadri, regali di nozze per i miei genitori (set di posate che non conoscono cibo, bicchieri di cristallo che non hanno mai fatto ubriacare nessuno) i manichini si fecero spazio e divennero gli inquilini del secondo piano.

Chiamavo così il luogo della mia paura, secondo piano: scheletro polveroso, appartamento abortito mai diventato casa, ma ugualmente abitato.

Ai tempi del secondo piano ero una bambina che si immaginava ballerina da grande. Non capivo perché nonostante ne avessi paura continuavo ad essere attratta da quel luogo. Non sapevo dare un nome alle mie emozioni. Oggi sono donna che si immagina fotografa e qualche risposta l’ho trovata.

L’automatonofobia è la paura di tutto ciò che riproduce falsamente un essere vivente: statue, spaventapasseri, pupazzi da ventriloquo, manichini. Gli inquilini del secondo piano hanno terrorizzato la bambina che ero. Oggi prendo la macchina fotografica e torno lì per vedere cos’è cambiato. Apro le finestre di un posto rimasto impastato col buio per venti anni.

La luce crea tagli feroci sulle forme delle cose. La polvere si è impossessata di tutto.

Eccoli.

I miei occhi incontrano una pupilla di plastica. Il dialogo è assurdo. “Posso guardare dentro le tue ferite. E tu? Tu lo sai leggere un cuore?” È l’inizio di un viaggio dove il tempo non scorre.

Mi diverto a non rimettere insieme i pezzi. Lavoro a creare nuove forme fatte di negazioni e aggiunte. Mischio tutte le carte. Incastro a mio piacimento.

Posso cambiare il passato perché non esiste più.